Interventi del Vescovo nel giorno dell’accoglienza a Troia

SALUTO A PORTA SAN GIROLAMO

I due discorsi di benvenuto, quello del sindaco e quello di padre Gino, mi suggeriscono la risposta, abbastanza scontata.
Che cos’è Troia? È una città antica, ma non vecchia. “Antica” significa che è piena di storia. Quando sono venuto, fugacemente, la prima volta [3 novembre 2016 – ndr], sono rimasto un po’ intimidito, perché si respira, da tutte le parti, una storia gloriosa. Il sindaco ha nominato tante persone, ma nominiamo anche san Secondino che è passato ed è arrivato qui dalla Campania e, prima ancora, veniva dal Nordafrica. Insomma, le strade sono abbastanza frequentate dai nostri santi!
Apprezzo moltissimo questa forma di identità della città di Troia. La città ha una forte identità e ci tiene a non perderla: la custodisce, la sviluppa, la cura, veramente con ammirevole dedizione.
Siamo qui in una casa di Comboniani. E questo ci dice che crescerà ancor di più e sempre di più nella misura in cui sarà capace di essere e di farsi apertura e condivisione, di respirare l’universalità della Chiesa.
Uno dei limiti di questo nostro tempo, a livello sociale, politico e anche, perché no, religioso, è la chiusura, il localismo. La bellezza di questa vostra, di questa nostra città, crescerà nella misura in cui si aprirà alla universalità. Oggi il mondo si dice globalizzato: e allora questa bellezza crescerà se si aprirà come condivisione dei tesori d’arte, della fruibilità dei vostri tesori d’arte. Si aprirà nella cultura e nella mentalità, che non vuol essere una cultura e una mentalità arrabbiata, ma accogliente, solidale e vuol essere una cultura di condivisione.
Il sindaco ha richiamato il passato, ma pensiamo allora il presente e il futuro, senza rinnegare assolutamente il passato. Sappiatemi vicino in tutto quello che posso, per lo sviluppo e per la salvaguardia di questa identità. E il sindaco sa che non è un modo di dire il mio, ma è l’impegno concreto e reale nelle parole che sto pronunciando.
Questa identità che voi, noi, vorremmo salvaguardare per ciascuno e per le future generazioni crescerà, si purificherà, nella misura in cui sarà aperta e dilatata alle dimensioni del mondo.
La presenza dei Comboniani – congregazione missionaria – porta, nel suo DNA, l’apertura al mondo. Solo perché ci sono, vi aprono, ci aprono sempre di più alle dimensioni del mondo intero.
Auguri e buon cammino, perché siamo tutti in cammino.
A nessuno oggi è lecito fermarsi! A nessuno è lecito attardarsi, ma tutti siamo chiamati, dai piccoli ai grandi, a rimetterci in cammino con l’impegno quotidiano per la giustizia e la pace.
Bentrovati! E io sono sicurissimo di trovarmi bene, perché già mi trovo bene.

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OMELIA

Ci poniamo in ascolto della Parola del Signore.
Tutta la vita della Chiesa inizia da qui – la Parola di Dio a noi annunciata –, tutta la vita della Chiesa si rinnova in ascolto della Parola del Signore, tutta la vita della Chiesa ritorna a questa Parola che la vivifica, perché essa Parola non è semplicemente o solamente una comunicazione verbale, ma è il dono di Dio stesso a noi che camminiamo tra le luci e le ombre della storia e rischiamo di perdere la strada, rischiamo di smarrirci nei meandri inquieti del nostro individualismo.
Ecco, allora, la Parola di Dio ci strappa dalla chiusura in noi stessi, ci rende popolo, popolo che cammina in mezzo agli altri popoli della terra verso la pienezza del Regno, verso la piena manifestazione del Regno dei Cieli.
È importante non solo sentire, ma soprattutto ascoltare, cioè “fare spazio” alla Parola del Signore. Ed è cosa che vogliamo fare ora, soprattutto per quanto riguarda il Vangelo.
Intanto sentiamoci anche noi tra gli ascoltatori di Gesù, quelli che materialmente, più di duemila anni fa, si sedettero su quel prato, in ascolto del Maestro che insegnava, in ascolto del Giudice che evidenziava la verità. Sentiamoci anche noi seduti in quel prato a guardare Colui che è e rimane il centro della nostra fede, il motivo della nostra speranza e la spinta per i nostri gesti di carità e di solidarietà, per sentirci ripetere una Parola che illumina la storia precedente a Lui, quella di Israele, la storia seguente a Lui, la nostra storia.
«Avete inteso che fu detto, ma io vi dico…».
«Avete inteso che fu detto, ma io» perfeziono, vi aiuto a capire meglio. Tecnicamente sono le antitesi matteane, ci direbbero gli specialisti.
«Avete inteso che fu detto», dove? Nella Legge che Dio diede al popolo attraverso Mosè. Mi piace l’immagine degli schiavi che escono dall’Egitto. Pensiamo: l’Egitto era una grande superpotenza economica, militare, scientifica, etc., e questo gruppo di schiavi, inaspettatamente, senza alcun loro merito, senza alcuna loro forza, conoscono la libertà, entrano nel deserto della purificazione, entrano nel deserto della formazione, entrano nel deserto della educazione. Vi entrano da schiavi, usciranno dopo tanti anni, ma usciranno come popolo ben organizzato, capace di amministrare la Legge all’interno di essi stessi, capaci di rendere culto a Dio, capaci di progredire.
È Dio che dà questa Legge, per aiutare questo gruppo a diventare popolo.
La libertà non è mai lontana o esente dalla responsabilità. La libertà dell’uomo, di ogni uomo – di quello di ieri, di oggi e di sempre –, si attua solo e necessariamente nella responsabilità. In fondo, quei quarant’anni servirono a questo: a educare la libertà, perché non scadesse nel libertinaggio. E quei quarant’anni servivano a educare un popolo nella appartenenza, nella responsabilità della fierezza – e voi sapete cosa significa questo: essere popolo, il popolo di Dio.
Libertà nella responsabilità: ecco la Legge!
È Gesù che richiama la verità di questo fatto, contestando la prassi farisaica che a furia di ragionamenti – diremmo di lana caprina –, erano andati ad imbrigliare le azioni, non solo degli uomini, ma addirittura la stessa azione di Dio.
I farisei, gli scribi, pieni di loro stessi, del loro sapere, pretendevano addirittura di dare, in nome della Legge, delle condizioni a Dio che era ed è l’Autore della Legge.
«Non sono venuto ad abolire la Legge e i profeti», dice Gesù, «ma sono venuto» a metterli al loro giusto posto, «sono venuto» a dire il loro vero significato: la Legge è via, per andare a Dio; la Legge è strada, per crescere – dicevamo e diciamo – nella libertà che si attua nella responsabilità.
Ma l’azione di Gesù, l’azione del Nuovo Testamento e della nuova alleanza, non si può fermare ad una restaurazione, per quanto nobile, di ciò che è stato. Occorre guardare avanti: «Avete inteso che fu detto…», ed è stato detto bene, ed è stato fatto bene, ma «io vi dico: andiamo oltre, guardiamo oltre», perché se la misura della giustizia degli uomini, quella basata sui diritti e i doveri, la misura della nuova giustizia, la misura del nuovo Regno, la misura dell’Evangelo di Dio è la santità stessa di Dio: «Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro che sta nei cieli». Una vera autentica libertà non si ferma mai al “già fatto”, ma va sempre oltre: va sempre verso quella pienezza di vita che è, appunto, la perfezione e la santità di Dio.
Il nostro Dio non si contenta; ci rispetta troppo, ci ama troppo per accontentarsi di alcune pratiche rituali da soddisfare. Il nostro Dio, il vero e santo Iddio, vuole per noi la partecipazione alla stessa vita sua: «voi siete figli di Dio», incamminati verso la pienezza della vita, verso la pienezza della eternità.
E allora, partite dalla Legge: «Avete inteso che fu detto…», e fu detto bene, e fu fatto bene, ma non per fermarvi alla Legge, bensì per andare oltre la Legge: la nuova giustizia. Se la giustizia degli uomini parla di diritti e di doveri, la giustizia di Dio, la giustizia del nuovo Regno, la giustizia del Vangelo, parla di misericordia, di misericordia senza limite alcuno.
A noi cristiani non è dato fermarci. A noi cristiani non è dato attardarci. A noi cristiani – per dirla in termini molto banali – non è data l’età della pensione. Noi cristiani siamo sempre in movimento e in cammino verso la pienezza di Dio, verso quella misericordia e cui esempi sono innumerevoli:
–          «Avete inteso che fu detto non uccidere»! Certamente non bisogna uccidere, ma bisogna andare oltre: ecco il rispetto, il rispetto per gli altri, il rispetto per l’altro;
–          «Avete inteso che fu detto non odiare»! Ma occorre andare oltre: innescare la pratica del perdono nella gratuità della accoglienza;
–          «Avete inteso che fu detto non commettere adulterio»! Certo non va commesso adulterio, ma «io vi dico» di guardare l’altra, di guardare l’altro con il rispetto dovuto alla dignità che l’altra, l’altro ha nel suo essere persona. L’altra non è l’oggetto di cui disporre, l’altro non è l’oggetto di cui disporre a piacimento; l’altro è persona da guardare – oserei dire – da contemplare con lo stupore e la meraviglia degli occhi di Dio.
–          «Avete inteso che fu detto non giurerai»! Non bisogna giurare, ma bisogna anche imparare a parlare: la sobrietà delle parole, la delicatezza e la carezza della parola umana nella costruzione di un mondo più vero, più pacifico e più giusto.
«Avete inteso che fu detto»! Prendetene consapevolezza, ma andate oltre, sempre oltre.
L’orizzonte di Dio è tutto vostro!

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AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

Al termine di questa Celebrazione Eucaristica, ringrazio il sindaco di Troia, il rappresentante del sindaco di Lucera, le autorità civili e militari.
Ringrazio gli amici: permettete che vi chiami amici nel nome di Cristo amico degli uomini e dei cristiani. Ringrazio tutti quanti voi.
Con questa Concelebrazione, mi sembra che siano finiti i saluti. Bisogna quindi cominciare a lavorare.
Da solo il vescovo non fa proprio niente. Il vescovo ha bisogno di due cose: della grazia di Dio e di essere accompagnato dal popolo, che è il popolo di Dio. Per cui faremo grandi cose, cercherò di rispondere – per quello che posso naturalmente – alle attese, ma io non posso questo farlo senza di voi, o addirittura contro di voi.
E, allora, che ciascuno di noi riprenda la storia di questa Chiesa e di questo territorio, a tutti i livelli.
C’è da lavorare per tutti nella vigna del Signore, che è l’umanità intera. C’è da lavorare per tutti.
E nessuno dica: «Io non sono capace», perché se qualcuno di voi dirà che non è capace, allora ci si trova davanti ad una persona pigra. Nessuno di noi è incapace, nessuno! Ognuno di noi può dare qualcosa e ognuno di noi può e deve ricevere qualcosa: nessuno di noi è tanto ricco da non aver bisogno dell’altro; nessuno di noi è tanto povero da non aver da dare qualcosa all’altro.
Per cui, la vera umiltà non è quella di chi dice: «Io non valgo niente»! La vera umiltà è di chi cresce nella verità: dò quello che il Signore mi ha attrezzato a dare. E tutti abbiamo da dare qualcosa!
Su voi tutti e sulle vostre famiglie scenda la benedizione del Signore, perché vi riempia di consolazione e di pace. Anzi, ci riempia! Mentre il vescovo benedice invoca anche la benedizione su se stesso, perché abbiamo tutti bisogno di consolazione e di pace per ripartire.