Omelia S. Messa del Crisma 2019

17 aprile 2019. Mercoledì santo, Messa del crisma

 

  • I 900 anni della Concattedrale di Troia e i 1000 anni di quella Città

 

 

  • Ricordo dei sacerdoti defunti nell’anno trascorso

don Erminio Di Bello

mons Raffaele Castielli

don Egidio Cascioli

don Luciano Marino

 

 

  • Memoria delle ordinazioni presbiterali

 

50° di ordinazione                  don Angelo Fusco

                                                 don Paolo Paolella

 

25°di ordinazione                   don Sergio Di Ruberto

 

 

 

 

Per l’omelia

Is 61, 1 – 9

Sal 89,  21 – 27

Ap 1, 4 – 8

Lc 4, 16 – 21

 

1.

Leggendo e rileggendo i brani biblici che la Chiesa offre per questa celebrazione, mi è venuta, insistentemente, in mente e, più ancora in cuore, la celebre espressione di Agostino d’Ippona: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano” (Discorso 340, 1). Queste parole si possono anche, opportunamente, declinare per i presbiteri, per i ministri della Chiesa e, in generale, pure per gli operatori pastorali.

 

Se per il popolo di Dio siamo stati scelti e consacrati, se siamo a servizio dei fratelli di fede e della comunità ecclesiale, è bene non dimenticare che di esso popolo facciamo parte, fratelli tra fratelli, per il battesimo ricevuto.

Vorrei così richiamare per tutti i figli della Chiesa, la bellezza e la consistenza del battesimo.

Varie ed articolate sono le descrizioni di questo sacramento.

Il battesimo viene presentato come la porta della vita eterna, come il fondamento della vita cristiana; esso è la sorgente della vita nuova in Cristo.    Mediante il battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra del corpo di Cristo che è la Chiesa e resi partecipi del Regno dei cieli, quali concittadini dei Santi.

Il battesimo è innanzitutto un dono, in quanto viene da Dio nella gratuità dell’amore che non chiede nulla in contraccambio, anche perché l’uomo non possiede alcunché da dare in contraccambio a Dio.

Il battesimo è grazia perché è opera di Dio che “seppellisce” nell’acqua il peccato dell’uomo con l’estraneità e la paura che ne conseguono.                        Il battesimo è illuminazione perché in esso si riceve “la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). Il cristiano, in quanto battezzato, è figlio della luce, anzi è luce lui stesso.

Il battesimo è vestimento perché ricopre la vergogna delle nostre miserie; è sigillo perché attesta e custodisce la reale appartenenza a Dio e alla Chiesa santa.

La missione cristiana consiste nell’annunciare il Vangelo e nel battezzare gli uomini dispersi e sbandati per farne la famiglia dei figli di Dio, popolo santo di Dio tre-volte-santo.

“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19 – 20).

Il battesimo si serve dell’acqua, esso è lavacro di rigenerazione nello Spirito Santo. Il termine stesso battesimo, viene dal greco e significa tuffo, immersione.

Con il battesimo al fiume Giordano, Gesù manifesta la disponibilità totale e senza remore a fare quello che il Padre vuole. Egli, che non commise peccato, prende su di sé i peccati del mondo e, con la sua Croce, li distrugge.         Al Giordano viene rivelata la divina figliolanza di Gesù. Lui è la compiacenza stessa del Padre celeste che non esita a manifestare la sua gioia per l’Unigenito pieno di Spirito Santo. Gesù di Nazareth è il Messia sopra il quale si posa lo Spirito. Lui è il Cristo mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e a donare la vista ai ciechi.

Il battesimo è unzione perché, in Cristo, l’Unto del Padre, vengono consacrati i figli di Dio, uomini e donne messi a parte per Dio e resi partecipi della vita divina.

Unzione “significa quella penetrazione intima con la forza santificante dello Spirito, quella presa di possesso, quella cernita e quel sigillo onde il Signore fa di un uomo il suo servo e il suo ministro: sacerdote, profeta o re” (Romano Guardini).

Il battesimo dice anche la radicale uguaglianza in dignità dei figli di Dio. Nell’unigenito Figlio siamo infatti tutti figli dell’unico Padre dei cieli e dunque siamo fratelli tra noi. L’evento battesimale ci libera dalle ansie della competizione e dalla lotta dei primati. Riscoprire e vivere la grazia del battesimo immunizza noi presbiteri ed anche tanti laici dalle tentazioni del potere che molti danni ha fatto e fa alla Chiesa.

 

2.

Il battesimo è sacramento della fede, attraverso di esso il credente partecipa alla morte di Cristo e con lui risorge a nuova vita.

        

Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6, 3 – 4).

 

La fede battesimale ha bisogno della comunità dei credenti. Nella fede della Chiesa infatti l’uomo trova l’ambiente adatto per accogliere e sviluppare, con la grazia divina, il dono della fede personale che esige ricezione in libertà e crescita nella confessione e nella testimonianza del Vangelo.

 

Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61, 6). Voi siete “la stirpe benedetta dal Signore” (Is 61, 9).

 

Il battesimo è dunque la base di partenza e il pegno della meta comune del cammino cristiano, è come la radice unica da cui partire nella concretizzazione vocazionale della fede verso l’unica metà di eternità.

 

A servizio della fede vanno compresi il ministero dei presbiteri e ogni altro ministero nella Chiesa.                                                                                   Quando si dimentica questa realtà ci si rende protagonisti, anche nelle nostre comunità, di gare crudeli e ridicole che non risparmiano i colpi bassi della competizione e della rivalità ecclesiastica da parte degli stessi ministri ed anche dei laici che più da vicino collaborano con loro.                              Il fenomeno dirompente del clericalismo, più volte denunciato dal Papa quale malefica perversione di questa stagione ecclesiale, insidia la pace interiore dei credenti e l’armonia articolata delle comunità cristiane ed impedisce una feconda testimonianza evangelica.                                                       Il servizio ecclesiale dovrebbe qualificarsi per la sua generosità e per la sua gratuità. Purtroppo, e non di rado, si devono subire le pretese inconsistenti non solo dei presbiteri ma anche di operatori pastorali e di cristiani “impegnati”.

 

3.

Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo“(Gal 3, 27).

 

Nel battesimo siamo rivestiti di Cristo. Entriamo cioè in una comunione profonda e vitale con lui, per cui il cristiano, ogni cristiano, di qualunque stato o grado, ben a ragione può affermare: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,2).

 

Con l’incarnazione il Verbo eterno di Dio ha indossato le vesti degli uomini, i vestimenti fatti di dolore e di speranza, di fame e di sete, di stanchezza e di delusioni. Vestiti di paura e di angustia, indumenti di disperazione e di morte.

Gesù Cristo ha preso le nostre vesti e ha dato a noi i suoi “vestiti” perché possiamo agevolmente “rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 22).

 

Cristo Gesù, “il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra” (Ap 5, 1), ci ha dato “olio di letizia invece dell’abito di lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto” (Is 61, 5).                                              Occorre dunque “rivestire l’uomo nuovo”. Nel battesimo abbiamo ottenuto, in dono, Cristo stesso come vestito nuovo, per cui è necessario assumere anche “i sentimenti”, cioè la mentalità ed il cuore di lui.

Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2, 3 – 5).

Nel giovedì santo si rivive il gesto eloquente della lavanda dei piedi. Era questa l’incombenza specifica dell’ultimo servo nella gerarchia dei servi di una casa. Gesto paradossale vissuto dal Signore, gesto che ricorda la presenza di Dio tra gli uomini come la presenza del “servo per amore”.

 

Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti un esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (GV 13, 13 – 15).

Rivestirsi di Cristo per portare con purezza di cuore il lieto annuncio del Vangelo, per esercitare la pazienza dell’amore, senza sentirsi menomati nell’obbedienza dell’amore, per favorire la crescita altrui nella libertà e nella responsabilità personali, lungi dalle manie idolatriche del possesso.

Rivestirsi di Cristo, per gli sposi, nella quotidianità della vita coniugale e familiare: lì dove l’ascolto deve farsi prassi quotidiana, lì dove si può imparare la condivisione delle cose e più ancora dei pensieri e dei progetti, lì dove le generazioni possono incontrarsi e rompere le tentazioni dell’estraneità e dell’indifferenza, lì dove il perdono reciproco è esercizio di agevole carità, lì dove si può fare la prima fondamentale esperienza della fede cristiana e della sua bellezza austera ed affascinante.

Rivestirsi di Cristo nella quotidianità del ministero sacerdotale a servizio del popolo di Dio.

Nei diversi riti di ordinazione vi è un progressivo mutamento di vestito. Un mutamento che senza abbandonare la veste precedentemente ricevuta, la arricchisce con quella che man mano si riceve.                                           Con l’ordinazione, ai vari livelli, si è incaricati di una missione sempre più radicale ed impegnativa che si rifà a Gesù Cristo, l’unico e vero sacerdote perché perfetto servo del Padre che sta nei cieli.                                                         Il ministro ordinato infatti non rappresenta né porta se stesso, non esercita un dispotico potere, non parla in base alle sue opinioni, ma rimanda a Colui che lo ha mandato e parla con il cuore e la sapienza di Cristo. Il sacerdozio ministeriale è servizio, servizio gioioso, alla fede-speranza-carità del popolo sacerdotale che è la Chiesa tutta intera.

Nei riti di ordinazione rispondemmo: Eccomi … Sì, lo voglio!                     Dicemmo con commozione e con convinzione: Sono qui perché tu, o Cristo, possa disporre di me a vantaggio della tua Chiesa e a salvezza del mondo.                                                                                                                    Ci mettemmo dunque a disposizione di colui “che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi” (2Cor 5,15), ma per tutti. In Cristo possiamo osare di essere e di vivere davvero per tutti.

Le “vesti” delle nostre ordinazioni non sono dunque fatte per uno sfoggio vanesio di mondanità, né tanto meno sono un’investitura a “comandanti del nulla”. Indossare i paramenti liturgici non è motivo di vanagloria o di supremazia, ma è sempre occasione per rendere grazie della fede battesimale e del dono del ministero ricevuti, appunto, in dono.                           I paramenti liturgici ci inducono ad imparare sempre di più la mitezza e l’umiltà di Gesù Cristo. Ed anche la sua verginità e la sua “sponsalità”.             Gesù appartiene al Padre e, rinnovando tale appartenenza nell’offerta sacerdotale di sé, realizza la salvezza del mondo intero.                                    Gesù è lo sposo della Chiesa, è dunque lo sposo dell’umanità redenta ed ha con la sua Sposa un rapporto di totale e concreta dedizione d’amore.       Verginità e “sponsalità” di Cristo: le vesti liturgiche assumono questo duplice richiamo, quello verginale e quello nuziale. E questo in riferimento a Cristo e alla Chiesa.                                                                                                      Il camice bianco dice la verginità che riveste il corpo della Chiesa chiamata ad essere tutta del suo Dio e Signore.                                                  La stola, e ciò che la copre, dice la variegata fecondità dell’amore che sa rivestirsi di Cristo per imparare da lui ad essere sempre pronti nel servizio generoso agli altri.

 

 

La Chiesa cammina, nel tempo, al seguito del suo Signore, come la fidanzata che va incontro al suo promesso per celebrarne la festa senza fine delle nozze eterne.                                                                                               Con il candido vestito che il Signore ci ha donato nel battesimo possiamo anche pensare al vestito nuziale del banchetto escatologico della pienezza del Regno. Colà si dovrà indossare il “vestito dell’amore”, che solo rende piacevoli agli occhi del nostro Dio ed anche affascinanti agli occhi del mondo.

Occorre, dunque, indossare la veste battesimale dell’amore.                             Sì, perché proprio oggi, proprio nell’amore che si dona fino in fondo, si compia la Scrittura che voi avete ascoltato.