Cattedrale di Lucera, mercoledì santo, 13 aprile 2022
Letture:
Is 61,1-9
Ap 1,5-8
Lc 4,15-21
1.
La Chiesa è chiamata dal Signore, tramite il ministero del Papa, al sinodo. Tutta la Chiesa è convocata, tutta quanta.
La Chiesa continua, così, il suo cammino nella storia, con la consapevolezza di non essere “arrivata” ma di dovere proseguire oltre, sempre oltre, fino alla meta trascendente che è la pace infinita di Dio infinito amore Trinità.
Si tratta del cammino che vede i battezzati incoraggiati dalla fatica comune, sostenuti dalla speranza del Vangelo, edificati dall’amore di Dio per ciascuno e per tutti gli uomini e le donne della terra.
“Sinodo”, cioè “camminare insieme”. Tutti in cammino, dunque.
Il sinodo è esperienza del popolo fedele in cui ciascuno vive la sua propria vocazione, accanto e ad integrazione di quella degli altri. Il sinodo è esercizio del popolo ecclesiale in cui ciascuno aiuta e sorregge gli altri, lasciandosi anche aiutare e sorreggere dagli altri.
Tutti in cammino, dunque: vescovo, presbiteri, consacrati, fedeli laici.
Il popolo di Dio, nella sua variegata articolazione, viene chiamato a porsi in cammino nella fedeltà a Dio verso la pienezza dell’amore divino che è, appunto, il Regno dei cieli.
Oggi, proprio oggi, perché è nell’oggi della storia che si realizza la Parola che Dio pronuncia e dona a salvezza degli uomini.
Lc 4,20-21
[20] Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui.
[21] Allora cominciò a dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”.
La Chiesa è mistero di grazia che si origina dal Mistero ineffabile di Dio Trinità. La sua realtà è tanto ricca ed articolata da richiedere l’uso di varie immagini per essere, in qualche modo, descritta. Si tratta di immagini e figure che non si escludono, ma si completano a vicenda nel lasciar intravvedere “qualcosa” del mistero insondabile che è la Chiesa (cf LG 6).
2.
La Chiesa è il popolo di Dio che cammina tra i popoli del mondo verso la pienezza del Regno dei cieli, di cui è, in terra, il germe e l’inizio (cf LG 5).
Parlare della Chiesa come popolo di Dio equivale a riaffermane la sua universalità, la sua dimensione sociale non spocchiosamente elitaria, ma squisitamente popolare in cui vengono riaffermati la fondamentale uguaglianza e la pari dignità di ogni battezzato, con la conseguente corresponsabilità di ciascuno e di tutti.
Di tutti, nessuno escluso.
Lo scambio comunionale tra i fedeli laici, i consacrati, i presbiteri e i vescovi aiuta a declinare nella storia la profezia con cui lo Spirito di verità adorna la Chiesa di Cristo.
Così, la Chiesa sinodale è tale quando vive lo stile proprio del Signore Gesù, lo stile dei discepoli suoi, lo stile cioè della partecipazione di tutti alla costruzione del Regno di Dio nella comune appartenenza ecclesiale.
La Chiesa sinodale è tale quando si muove nella comunione che si alimenta al Corpo di Cristo, spezzato e mangiato, e nella missione che cresce con il crescere della confidenza con il Vangelo della salvezza.
La Chiesa sinodale è tale quando riesce a coinvolgere ogni battezzato per la sua vita e per la sua missione.
I cristiani si sanno e si presentano, nella comune appartenenza missionaria, come “sùnodoi”, compagni in cammino fino alla fine dei tempi e fino agli estremi confini della terra.
Mt 28,18-20
[18] E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. [19] Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, [20] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
At 1,6-8
[6] Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”.
[7] Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, [8] ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.
L’unzione del Paraclito viene partecipata da Cristo ai cristiani, discepoli suoi, pellegrini tra i popoli della terra “a portare – come il Messia – il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri” (Is 61,1).
La sinodalità della Chiesa esprime la sua cattolicità nel senso di essere una “Chiesa dalla porte aperte”, una “Chiesa in uscita”. La Chiesa, dunque, prendere l’iniziativa, si coinvolge nella storia degli uomini con la storia del Vangelo, accompagna con rispetto e decisione, coglie e raccoglie i frutti dello Spirito. La Chiesa in uscita sa gioire per la missione che le viene affidata.
La sinodalità della Chiesa implica e favorisce l’esercizio del sensus fidei della universitas fidelium nella variegata comunione che non ha alcunché di massificazione clericale, ma che attinge vita e conversione dall’ineffabile Mistero della eterna conspiratio della beata e santa Trinità.
Il rinnovamento ecclesiale a cui lo Spirito, con il sinodo, guida la Chiesa si attua in una rinnovata scelta missionaria. E ciò comporta il mettere la fede al primo posto dell’interesse della Chiesa stessa.
La scelta missionaria quando è autentica porta ad escludere l’idolatria del potere e del denaro, l’iniquità che genera violenza come lo scarto tra gli esseri umani, il pessimismo sterile, la mondanità spirituale, la guerra con le sue atrocità.
La Chiesa – ci ha ricordato, con san Cipriano, il Concilio Vaticano II – si presenta come un popolo, il nuovo popolo messianico, il popolo generato, adunato, sostenuto e guidato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
Così la Chiesa universale si presenta come «un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4).
3.
Affermare che la Chiesa è cattolica significa, allora, approcciarne il mistero non partendo dalle differenze ma dalla comune identità di tutti i battezzati.
La Chiesa, “ossia il regno di Cristo già presente in mistero” (LG 3), corregge così al suo interno il “classico” binomio di opposizione “gerarchia – laicato” in quello di integrazione “comunione – vocazione/vocazioni”. E si presenta al mondo con la luce di verità e la forza del suo Signore.
Per noi sacerdoti si tratta di riconsiderare, continuamente, la nostra vita e il nostro ministero nella sua sorgente di appartenenza a Cristo mediante il battesimo ricevuto e che tutti ci accomuna in Dio Trinità.
“La vita di un sacerdote è anzitutto la storia di salvezza di un battezzato … Noi dimentichiamo a volte il battesimo, e il sacerdote diventa una funzione… Non dobbiamo mai dimenticare che ogni vocazione specifica, compresa quella dell’ordine, è compimento del battesimo” (Papa Francesco, 17.II.2022).
Noi presbiteri vogliamo ricordare, principalmente a noi stessi, che la Chiesa, popolo messianico, ha per capo Cristo, per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, per legge il precetto sempre nuovo dell’amore con cui Gesù Cristo ha amato ed ama, per meta finale il regno di Dio (cf LG 9).
Il sinodo aiuta, così, noi preti ad accogliere, ogni giorno, l’amore che ci ha conquistati, a contemplarlo nella preghiera della lode e a condividerlo nella castità di un cuore indiviso e, dunque, come esercizio di paternità nello Spirito di Cristo, e pertanto aperto a tutti quelli che vi bussano.
Aperto, soprattutto, ai giovani di oggi, mendicati di punti di riferimento significativi e sinceri.
La persona umana, infatti, cresce solo se incontra testimonianze vive e veraci; paternità/maternità che gli indicano il cammino di crescita, i crocevia della propria libertà, le esigenze liberanti della responsabilità.
Così il popolo messianico è tale quando, come il suo Signore, partecipa “una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto” (Is 61,3).
In questo orizzonte salvifico dobbiamo porci per vivere in modo sensato e fecondo l’esperienza sinodale.
Il sinodo infatti non è un’operazione organizzativa, né una forma di “ingegneria strutturale”. Sbaglierebbe di grosso chi volesse porsi “a sinodo” con la primaria ed ossessiva preoccupazione “delle cose da fare”.
Il sinodo vuole attivare, piuttosto, un processo di conversione, personale e pastorale. In altri termini, è l’occasione propizia (kairòs) per raddrizzare la rotta ecclesiale, per rivedere e superare i pregiudizi che soprattutto negli ultimi decenni si sono sedimentati, per colmare i vuoti di Vangelo, che più o meno consapevolmente, si sono scavati, per stanare dall’autoreferenzialità sia le nostre comunità che, ahimè, i presbiteri e i consacrati.
Il sinodo è una grande e bella occasione di popolo perché si cresca nella fede attraverso la conversione al Vangelo e la purificazione che la grazia divina realizza.
4.
Il sinodo è un’occasione “educativa” da vivere insieme, nella interazione dei vari stati di vita. Così i pastori – vescovi e preti – si riscopriranno finalmente discepoli in ascolto del Signore che, attraverso il popolo fedele, li attrae a sé e li educa al suo amore. E i battezzati – laici cristiani e consacrati – si riscopriranno anch’essi destinatari e portatori della bella notizia della salvezza da testimoniare e da diffondere.
No, nella Chiesa non si possono cercare ruoli di potere da parte dei presbiteri, né rivendicazioni sindacali da parte dei fedeli laici.
Tutta la Chiesa, in un grande movimento di popolo, con la libertà e la diversità delle sue componenti, è convocata nella preghiera che riconosce ed accoglie la presenza e la insostituibile priorità del Signore, nell’ascolto della Parola e dei fratelli per esaminare il già fatto, nel dialogo e nel discernimento circa le scelte e le decisioni da adottare, individuando le modalità adatte al nostro tempo in una rinnovata fedeltà al Signore.
Ap 1,4-8
[4] … Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, [5] e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, [6] che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
[7] Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà;
anche quelli che lo trafissero
e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto.
Sì, Amen!
[8] Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Di lui la Chiesa ha bisogno ed è lui che il mondo le chiede con insistente fiducia.
Gesù è il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto carne. Ha assunto l’umanità dell’uomo per la salvezza di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. La Chiesa, come il suo Dio, vive immersa nella storia e non contro il tempo che le è dato da vivere o fuori della storia stessa.
Il realismo dell’incarnazione del Verbo dice che la grazia divina non sopprime l’umanità dell’uomo, ma la sana, la irrobustisce, la perfeziona. La fede allora esalta la ragionevolezza con l’amabilità, la semplicità, l’essenzialità. La vera umiltà si mostra nella serenità e nella pace di un cuore che sa essere come quello di un bambino nelle palme di Dio, padre/madre.
La Chiesa si vede, dunque, impegnata a purificare la qualità delle relazioni sia al suo interno che al suo esterno. Relazioni nuove, generate dalla sequela di Gesù: è questo il primo, insostituibile, contributo che essa dà alla diffusione del Regno di Dio tra gli uomini.
La sinodalità si dipana, allora, nel processo di sviluppo della coscienza ecclesiale per cercare in Gesù Cristo le strade, anche inedite, per attraversare con lui la storia lievitandola dall’interno.
Il mondo, nella sua originale bontà, è stato creato da Dio, non è dunque nemico di Dio, né lo è della Chiesa.
Tutto ciò ch’è umano ci riguarda. Noi abbiamo in comune con tutta l’umanità la natura, cioè la vita, con tutti i suoi doni, con tutti i suoi problemi. Siamo pronti a condividere questa prima universalità; ad accogliere le istanze profonde dei suoi fondamentali bisogni, ad applaudire alle affermazioni nuove e talora sublimi del suo genio. E abbiamo verità morali, vitali, da mettere in evidenza e da corroborare nella coscienza umana, per tutti benefiche. Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio (Paolo VI, Ecclesiam suam 101).
La Chiesa sinodale vive dunque “simpatia” previa ed anche critica verso il mondo. Lo avvicina con fiducia, ma non ingenuamente. Per cui sa essere attenta alle tracce di male e di concupiscenza che in esso ancora albergano, senza però lasciarsi irretire in queste tracce, ma diffondendo, nonostante esse, la forza e il profumo del Vangelo tra gli uomini di oggi.
Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l’esempio e il precetto che Cristo ci lasciò (Paolo VI, Ecclesiam suam 90).
5.
Il dinamismo sinodale è sintetizzabile, secondo l’insegnamento di papa Francesco in tre parole: incontro, ascolto, discernimento.
Esso, dinamismo, trova nella celebrazione odierna slancio e vigore.
L’olio che benediciamo, infatti, non è forse olio di comunione che abilita all’incontro e sana le ferite causate dagli scontri, ripetuti e laceranti?
L’olio che benediciamo non è forse olio di speranza e di sapienza che apre all’ascolto di Dio e del prossimo e ci avvicina, anche con la nostra personale indigenza, alla ricchezza della divina misericordia e dell’altrui persona?
L’olio che benediciamo non è forse olio gustoso di consolazione che consente il discernimento generoso ed accogliente della volontà di Dio, per noi e per la nostra comunità cristiana?
Concludo augurando alla nostra Chiesa e a tutti i suoi figli un cuore pasquale.
Un cuore capace di attraversare la morte fino a raggiungere la vita.
Un cuore capace di riconoscere le colpe fino ad aprirsi al perdono.
Un cuore capace di superare le separazioni nella comunione.
Un cuore capace di sopportare le lacerazioni della storia fino a pervenire alla gloria dell’eternità.
Un cuore capace di incontrare il proprio simile fino ad aprirsi a Dio e di incontrare in Dio l’altro suo simile.
Un cuore capace di “fare” la pace anche nei risvolti inqueti e violenti del nostro tempo.
Un cuore capace di emanciparsi dalla schiavitù dell’io fino alla libertà del tu, per correre con i fratelli nella gioia della risurrezione.
+ Giuseppe Giuliano,
vescovo di Lucera-Troia