Il Signore è risorto!
È questo l’annuncio della sconfitta del buio della morte, è questo l’annuncio che la Chiesa rivolge all’uomo di tutti i tempi della storia. Il Signore si è rialzato dalla palude della morte, Gesù Cristo è il Signore del cosmo e delal storia.
La meraviglia per la potenza del Dio dell’impossibile si fa canto e danza di lode e di ringraziamento.
“Voglio cantare al Signore perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio e lo voglio lodare, è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare” (Es 15, 1 – 2).
Nel giorno di Pasqua la Chiesa ripete a se stessa e al mondo: Gesù Cristo ha compiuto il grande viaggio. Egli è disceso nelle regioni degli inferi ed è anche asceso al di sopra di tutti i cieli per riempire di sé e della sua vita l’universo intero.
“Ma che significa la parola “ascese”, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose” (Ef 4, 9 – 10).
Nell’oscurità impenetrabile della morte Cristo è entrato come fuoco ardente, la morte ha perso così il suo dispotico potere, la notte è divenuta più luminosa del giorno, le tenebre si sono diradate e finalmente è giunta la luce, quella vera, quella che illumina ogni uomo.
“Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro” (Annunzio pasquale).
La Chiesa partecipa la parola di ringraziamento e di fiducia che l’Unigenito risorto rivolge al Padre. Egli ha fatto il viaggio fin nelle profondità della terra, e fin’anche nell’abisso della morte ha portato la vita. Ora è risorto, è vivo e per sempre afferra l’umanità con le sue stesse mani.
La Chiesa accoglie con gratitudine la parola che il Signore risorto rivolge a ciascuno di noi: “Sono risorto e ora sono sempre con te. La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono con te e per te perfino alle porte della morte. Lì dove nessuno può più aiutarti, lì dove tu non puoi portare niente con te, proprio lì ti aspetto e trasformo per te le tenebre in luce”.
Il canto pasquale in quel Dio che non ci lascia mai cadere dalle sue mani avvolge il cuore e la mente dei credenti. E le sue mani, le mani di Dio, sono mani assolutamente buone ed affidabili.
Una tale realtà di grazia si realizza nel battesimo. Il battesimo, infatti, è ben più di un lavacro, è molto di più di una purificazione rituale. È anche molto di più dell’assunzione in una comunità. Il battesimo è una nuova nascita. Un inizio, nuovo e radicale, della vita. Nel battesimo siamo stati “innestati” in Cristo, nella sua morte e nella sua risurrezione, fino ad diventare una cosa sola con lui e in lui.
Con il battesimo Gesù Cristo ci assume in sé, affinché poi non viviamo più per noi stessi, ma per lui, con lui e in lui. Ed anche per gli altri. Nel battesimo abbandoniamo noi stessi, deponiamo la nostra vita nelle mani di Cristo fino a poter dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Se accettiamo la morte del nostro io e, nell’amore, ci doniamo agli altri, allora,anche il confine tra morte e vita diventa permeabile per cui la morte non è più una vera barriera impenetrabile, ma dalla morte si può passare alla vita. Ecco la Pasqua: passaggio dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita.
Alle spalle e di fronte tu, Signore, mi circondi e mi avvolgi. Sempre sono nelle tue mani perché nessuno vive più per se stesso e nessuno muore per se stesso, sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore.
“Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione” (Rm 6, 5).
Questa è la novità del battesimo: la nostra vita appartiene a Cristo, non più a noi stessi. Ma proprio per questo non siamo più soli neppure nella morte, ma siamo con lui che vive sempre con noi.
Gesù Cristo “discese agli inferi”: accompagnati da lui, anzi, accolti da lui nel suo amore, siamo liberi dalla paura. Egli che è la vita vera e piena, ci avvolge e ci conduce verso i pascoli ubertosi dell’eternità.
“Sollevate (dunque), porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche!” (Sal 23 [24]).
La porta della morte è chiusa, nessuno può tornare da lì. Cristo, con la sua Croce, spalanca le porte della morte. La sua Croce, la verità del suo amore, è la chiave che apre queste porte, il suo amore ha la forza per aprire anche la porta più insuperabile. L’amore di Dio è più forte della morte: il Dio dell’impossibile mostra tutte le sue infinite possibilità. L’amore di Dio è più potente dell’odio e del peccato degli uomini.
“Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6, 11).
L’uomo desidera ardentemente giungere in alto, ma da solo non ci riesce. Solo il Risorto può portarlo in alto, fino all’unione con Dio. Egli prende la pecora smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Aggrappati a lui noi viviamo, e con lui giungiamo fino al cuore di Dio. Solo così è vinta la morte, e la nostra vita può dipanarsi nella speranza.
Siamo liberi, della libertà dell’amore.
È questo l’annuncio e, insieme, la gioiosa realtà della Pasqua: noi siamo liberi. Con la risurrezione di Gesù, l’amore si è rivelato più forte della morte, più forte del male. L’amore spezza infatti le catene di ogni schiavitù ed apre i cancelli di ogni prigionia. L’amore ha fatto discendere Gesù negli inferi e, in un’ulteriore prova d’amore, egli è asceso alla vita. Anche noi scendiamo insieme con lui nelle tenebre, per risalire con lui alla luce.
Signore, discendi anche oggi nelle notti di questo nostro tempo e prendi per mano coloro che, negli inferi della storia, aspettano luce e liberazione. Porta luce, porta alla luce!
Sii anche con me, nelle mie oscurità, e conducimi alla vera libertà! Aiutami a scendere con te nel buio di coloro che, in attesa, gridano verso di te dal profondo della morte. Aiutami, dunque, a risalire, ogni giorno, alla luce della vita. Fino a quando vedrò la tua luce per non ricadere più nell’oscura prigione di me stesso.