Lucera, 31 gennaio 2020, memoria di
san Giovanni Bosco, padre e amico dei giovani
Cara Stefania (*),
innanzitutto ti ringrazio per la lettera che mi hai inviato, e soprattutto per il garbo con il quale mi scrivi ed anche mi contesti, per la sofferenza che mostri nel notare le ipocrisie dei grandi, tra cui ovviamente ci sono anche io.
Sì, hai proprio ragione: noi grandi siamo stati capaci di rendere “quasi invivibile” il mondo che stiamo consegnando a voi ragazzi, siamo riusciti a farne una giungla dove vale sempre e solo la legge del più forte. Tu parli, giustamente, della forza dei muscoli e anche di quella delle parole che sono strumento di dialogo e di incontro, mentre sono diventate mezzo di scontro, di accusa, di violenza. Capisco, e con molta preoccupazione, la tua protesta e il tuo mutismo. Mi scrivi.
Ho scelto di parlare il meno possibile con quelli che si dicono “grandi”. Tra gli amici si parla il linguaggio che noi abbiamo creato per sentirci un po’ più liberi nell’esprimere la rabbia ed anche le speranze che ci portiamo dentro … … E poi tu, vescovo, sai bene quanti e quali ostilità vive questo territorio, nella testardaggine di restare “provincia”, con una mentalità che si rivela spesso nella sua profonda grettezza. Qui, da noi, la maldicenza, l’invidia, l’inciucio, le diffamazioni, le immobilità da cortile, le ambiguità regnano incontrastate e dividono, talvolta per generazioni e generazioni, persone e famiglie, gruppi e comunità. Qui, dalle nostre parti la bugia e il malaffare, il protagonismo e la stupidità spadroneggiano. Il cinismo e la paura di molti, autoridotti a buoni a nulla, blocca ogni possibilità di sognare…
… E la mancanza di lavoro, le inquietudini di noi giovani, i bisogni di molta gente in seria difficoltà non trovano ascolto nella mente di personaggi intenti a scartare chi non rientra nel loro tornaconto. Personaggi talmente illusi di se stessi che nutrono il proprio io con l’odio anziché con la solidarietà, per cui alla benevolenza preferiscono l’aggressione e l’intolleranza. Basta guardare a quello che son diventati i social, lì dove tutti si trasformano in esperti maestri di vita con commenti al veleno ad ogni altrui tentativo di “volare alto”. Il rispetto che si esige per sé, si nega facilmente agli altri. E questo non è civiltà. Si deve purtroppo assistere all’imperversare dei peggiori tra i nullafacenti, tanto perdutamente innamorati di se stessi da mettersi con prepotenza in vetrina o da trasformarsi in anonimi accusatori. L’altro, soprattutto quando non si presta al proprio capriccio e al proprio interesse, è sempre un nemico, da mettere alla gogna e da neutralizzare …
Cara Stefania, ho voluto riportare brani della tua lunga (sette pagine!) lettera. Per dirti, non so con quale successo, che ti sono vicino e che condivido molte delle tue affermazioni. Ed anche per dirti grazie perché ti sei rivolta a me, perché hai infranto, forse senza accorgerti, il muro di solitudine che ti sei sentita costretta a costruire intorno a te.
Ti scrivo pure per dirti, in questa cultura di “cattive e brutte” parole, una “buona parola”. Con troppa superficialità noi grandi abbiamo definito, anzi abbiamo condannato la tua generazione come quella “degli sdraiati”, per evidenziare senza pietà la noia che caratterizza le vostre giornate e che viene non di rado riempita con l’isolamento nel proprio mondo virtuale o con la violenza immotivata verso l’altro. Abbiamo pensato di voi tutto il male possibile e non ci siamo accorti dei vostri sorrisi intelligenti, dei vostri sguardi che dicono i sapori buoni della vita, della vostra struggente nostalgia di pulizia e di sincerità. Vorrei dire per te e pronunciare con te una parola di bene-dizione, una parola che nobilita chi la dice e porta il bene a chi la riceve, una parola di benevolenza, oggi non molto frequentata, anche se decisamente desiderata. Una parola di bene perché l’altro è un bene per me, per te, per tutti. Perché l’altro è un dono, talvolta scomodo, ma pur sempre un dono e il dono arricchisce, immancabilmente. L’altro mi dice, con la sua stessa presenza, che io non sono né il centro né il padrone del mondo. L’altro mi ricorda che solo nel dono di me stesso io ritrovo me stesso. L’altro mi dice che la storia non si può costruire nella competizione e nel sospetto, ma occorrono tolleranza e collaborazione. L’altro mi attesta la forza “rivoluzionaria” della gratuità in un mondo in cui il criterio di vita sembra essere solo quello del mercato di bassa lega.
L’altro mi dice che siamo fratelli, figli dello stesso Padre dei cieli che da sempre ha pensato e voluto me così come ha pensato e voluto lui.
L’altro …
Continua tu, dando voce al tuo cuore che ti chiedo di far palpitare all’unisono con il cuore di quell’insostituibile amico nostro che si chiama Gesù.
Al tuo “ciao, vescovo”, rispondo con il mio “ciao, Stefania”. A presto. dunque. Scrivi quando vuoi.
E permettimi: ti benedico veramente con tutto il cuore.
+ Giuseppe Giuliano, vescovo di Lucera-Troia
(*) Stefania, una ragazza delle nostre parti, di cui solo il nome è immaginario.