Cattedrale di Lucera, mercoledì santo, 5 aprile 2023
[Quest’anno i sacri Olii, vengono confezionati con un ulteriore apporto simbolico. Come gli altri anni la Diocesi calabrese di Gerace–Locri ha mandato a noi e a tutte le Diocesi italiane il profumo di bergamotto per il crisma. Quest’anno, il Questore di Foggia ha mandato a noi (e alle altre Diocesi della Capitanata) una boccetta di olio prodotto con le olive coltivate nel “giardino” palermitano curato in ricordo dei giudici Falcone e Borsellino, della Morvillo e delle loro scorte, morti in seguito ad attentati mafiosi. Tale olio è stato mischiato con quello usato per la preparazione degli Olii sacri. A questa celebrazione ho invitato le Forze dell’Ordine operanti in Lucera a significare la gratitudine e l’apprezzamento per il loro lavoro, ed anche nella memoria dei numerosi agenti morti nell’adempimento del dovere a servizio della nostra popolazione. Profumo, olio, presenze: segni, ovviamente. Ma significativi del nostro impegno per la legalità, la giustizia e la pace.]
1.
Il brano di vangelo della Messa del Crisma ci porta a Nazareth, la città/villaggio in cui si è svolta la maggior parte della vita terrena di Gesù.
Trent’anni nello stesso posto, tra la stessa gente, con lo stesso lavoro. Trent’anni.
Siamo nella più ordinaria normalità, nascosta e sconosciuta, della presenza del Signore tra gli uomini e tra i popoli della terra.
Nazareth dice ordinarietà. Un’ordinarietà che, per quanto banale, non riesce a soffocare l‘assoluta novità di Dio che in essa si rivela e con essa si riversa nella vicenda umana lievitandola di cielo.
È necessario guardare a Nazareth per coglierne l’invito, quasi la “vocazione”, a purificare le attese di megalomania e di efficienza, ed entrare nell’orizzonte dell’efficacia: dall’efficienza mercantile all’efficacia salvifica del Regno di Dio.
Un’efficacia che non sempre si percepisce, perché non si misura in base ai calcoli commerciali dei nostri pensieri e delle nostre scelte. Un’efficacia che si realizza talmente in profondità – la profondità dell’essere – da non lasciarsi pesare dalle bilance mondane, ma che si esprime in cammini di luce pur tra le oscurità della terra.
2.
La Parola di Dio ci rivela l’oggi della storia, raggiunto dalla presenza redentrice del Signore, che con la sua grazia salva solo sfiorando la nostra umanità ferita.
La Parola di Dio si rivolge infatti al nostro oggi, questo oggi, perché in esso ai poveri giunga l’annuncio del Vangelo della liberazione,
ai prigionieri sia proclamata la salvezza,
ai ciechi venga donata e ridonata la vista,
agli oppressi arrivi il perdono e la consolazione,
con tutti venga condivisa la grazia divina,
e a tutti siano partecipati il sollievo e la misericordia che sgorgano dal “cuore” di Dio.
Oggi, il nostro oggi.
Quanti poveri, di cose e, più ancora, di senso e di vita.
Quanti prigionieri, schiavi dell’iniquità e, più ancora, della tristezza e dell’isolamento.
Quanti ciechi, mendicanti di luce e di orientamento di vita.
Quanti oppressi dalle vicende di un tempo difficile e, più ancora, dalla diffusa tortuosità dei cuori.
Quanti giovani, e meno giovani, “a – sociali”, chiusi nell’isolamento dettato dalle paure sociali.
Quante vittime di violenza e di guerra in cerca di accoglienza, di solidarietà e di pace.
Quanti cercatori di Vangelo, cioè di benevolenza divina.
Oggi.
Quello che i profeti (antichi e nuovi) avevano preannunziato si fa presente e operante in Colui che sta nella sua Chiesa e, con essa, agisce nelle vicende umane.
Oggi, con le nebulosità e le chiusure caratterizzanti il tempo che viviamo.
In questo tempo ricco di richieste veraci inevase, frammiste però a quelle fasulle purtroppo soddisfatte.
In questo tempo di fermenti sinceri mischiati a demoniache sbandate.
Oggi viene richiesto ai cristiani un supplemento di fedeltà: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61,6).
La Chiesa, la “casa della fedeltà” di Dio donata agli uomini: popolo di sacerdoti, di profeti, di re.
“Essi sono la stirpe che il Signore ha benedetto” (Is 61,9).
3.
La Chiesa, dunque. A cominciare da noi preti, a cui è richiesta la fedeltà e la disponibilità al Regno di Dio tra gli uomini e le donne di oggi. Con la magnanimità di un cuore puro, un cuore cioè che non misura i minuti della fatica a servizio del Vangelo, ma che in questo impegno trova riposo e compiutezza personale.
Si tratta della fedeltà che si dipana nel servizio generoso, quale espressione della dedizione a Cristo e alla sua Chiesa, senza ripianti.
Non si è preti “a tempo impiegatizio”, ma lo si è “per sempre”. Sacerdoti per sempre con tutto se stessi.
Si tratta della fedeltà in un clima del vicendevole rispetto che fa crescere e che si alimenta della preghiera per presenta gli uomini, come fratelli, al Signore.
La preghiera è, infatti, forma prima ed essenziale della “pastorale” che partecipa alla Croce del Dio amante degli uomini e crocifisso per amore.
L’amore si comprende e si vive, allora, come condivisione, umile e decisa, di ciò che si è e di ciò che si possiede nella forma più concreta della carità.
L’amore vissuto nella fedeltà dei giorni ci fa chiedere, in modo sincero e disarmato: Come sto trattando la Chiesa che mi ha accolto e che mi è stata affidata? Come stiamo trattando il Popolo santo che ci tratta da figli suoi?
Sono domande semplici, ma fondamentali, dalla cui risposta dipende lo spessore e il senso della nostra vita.
Sono domande che il presbitero, personalmente e come presbiterio, non può non porre e non può non porsi.
4.
Il presbitero è chiamato anche sacerdote: egli è in Cristo, per Cristo, con Cristo a servizio della fede degli uomini e delle donne in mezzo a cui è stato posto dai piani misteriosi e salutari della divina Provvidenza.
In quanto “messo a parte” per Cristo, in quanto cioè “consacrato” egli è a servizio della salvezza di ogni persona, è dunque servitore della liberazione dal male e della crescita nella verità del bene.
In nome e con la grazia di Gesù Cristo, il presbitero assolve dai peccati, presenta il rendimento di grazie con l’offerta di Cristo stesso nelle specie eucaristiche.
Il presbitero non è un “funzionario sociale” del sacro; egli, attraverso la mediazione della Chiesa, è stato radicato nell’amore e nell’essere di Gesù, Signore e pastore del gregge di Dio.
In questo tempo si sta diffondendo la consuetudine a non sposarsi, sta cioè prevalendo una diffusa volontà egoista a vivere centrarti sul proprio io e sul proprio tornaconto. Si vuole vivere solo per se stessi con il “no” al vincolo matrimoniale.
Ebbene proprio oggi va ribadita la necessità del celibato consacrato che non è banalmente il “non sposarsi”, quasi forma elegante di egocentrismo, ma è il dedicarsi con tutto se stessi a Dio che ha conquistato il cuore e la mente perché Dio faccia di noi un dono agli uomini e alle donne di oggi.
È riaffermare, con la vita, quotidianamente, il “sì” definitivo a Dio a cui ci siamo consegnati non in base alle nostre capacità e bravure, ma fidandoci esclusivamente della sua grazia.
Ci siamo messi nelle mani del Signore con la consapevolezza di quel “per sempre” che si fonda non sulle nostre ben misere possibilità, ma sulla bontà del Dio fedele nonostante le nostre numerose e ripetute infedeltà.
Il Dio a cui abbiamo affidato la nostra vita è “il Dio dell’impossibile umano”.
Così il presbitero può rendere “convincente” il servizio ministeriale che gli è affidato ed invocare dal Signore il dono di giovani generosi, a cui proporre con coraggio la vocazione al ministro.
Così il presbitero può anche annunciare la “convenienza esistenziale” del matrimonio monogamico ed eterosessuale, esigito dalla natura personale dell’uomo e ribadito dalla Rivelazione divina.
Così il presbiterio può costruirsi come luogo di comunione e non di competizione, luogo di sostegno reciproco ed anche di vicendevole correzione. E così irradiare la pace che il Signore fa vivere pur con le tentazioni, i tentennamenti e le cadute dovute alla umana fragilità.
5.
Spirito del Signore Dio vieni sopra di noi,
su ciascuno di noi, sui preti e sui laici cristiani:
vieni in noi e nella nostra Chiesa di Lucera-Troia.
Tu che ci hai consacrato nel Battesimo
quali membra vive del Corpo di Cristo
aiutaci ad essere fedeli alla vocazione a cui ci hai chiamato
e che, con fiducia, ci hai donato.
La nostra Chiesa sia “famosa di bene” tra i popoli e le nazioni:
coloro che la abitano possano essere dinanzi al mondo
“la stirpe che il Signore ha benedetto”.
Illumina i nostri giovani perché si rendano disponibili
a Colui che è l’Alfa e l’Omega,
a Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente.
E il mondo conosca la vita
nella giustizia e nella pace del Dio vivente ed eterno.
Vieni, Santo Spirito.
+ Giuseppe Giuliano,
vescovo di Lucera-Troia